L’iniziativa era stata introdotta nei giorni scorsi dagli assessori comunali Mimmo Spadoni e Giovanni Catellani, da Elisabetta Farioli direttrice dei musei e da Massimo Magnani direttore dell’area pianificazione strategica.
In questo primo appuntamento i reggiani sono stati invitati a portare ai chiostri oggetti degli ultimi sessant’anni che hanno caratterizzato il loro quotidiano e che possano assumere un significato collettivo legato al vivere cittadino.
Gli oggetti devono ricondursi a quattro aree di pertinenza o aree tematiche individuate dall’amministrazione quali il mangiare, il vestire, il partecipare e il condividere che, come affermato da Elisabetta Farioli, “sono state scelte pensando ad alcune eccellenze di questo territorio che hanno caratterizzato proprio il periodo dai cinquanta ai settanta, come lo sviluppo dell’industria tessile e dell’alimentare e poi la forte partecipazione politica”.
L’obiettivo di questa raccolta, che l’11 maggio prossimo confluirà in una mostra a cura dell’architetto Italo Rota, è quello di fornire un bilancio sul percorso comune reggiano e di declinare i valori legati alle “nostre cose” in prospettiva futura.
Per questo sono state scelte aree tematiche che hanno conosciuto un profondo cambiamento nel range temporale considerato.
24Emilia ha chiesto a Mimmo Spadoni, assessore ai progetti speciali del comune di Reggio, un commento sull’iniziativa e su alcune voci critiche che si sono manifestate nei giorni scorsi.
Assessore Spadoni, com’è andato questo primo incontro con la cittadinanza nell’ambito del progetto “Gli oggetti ci parlano”?
Il bilancio del primo fine settimana è senz’altro positivo, c’è stata una forte partecipazione testimoniata dalla raccolta di oltre 350 schede di prestito. Molti cittadini poi sono venuti per informarsi e per capire come il progetto fosse strutturato.
Il meccanismo di ricerca e di passaparola ha funzionato, abbiamo intercettato un bisogno che era già presente nella cittadinanza e che si è rafforzato dati i tempi di crisi.
Qual è la riflessione che sottende all’iniziativa?
Si tratta di un ricordo del passato ma che guarda al futuro. La maggior parte dei prestiti registrati sono oggetti riconducibili agli anni ’50 e ’60, anni in cui l’Italia è mutata molto e in modo rapido. Questo dato è rappresentativo del concetto di cambiamento che sottende al progetto, testimonia come ci siano momenti particolarmente pregnanti nella storia e come questo sia percepito e riconosciuto dalla collettività.
La settimana scorsa è stata lanciata online la petizione "Per i Musei Civici di Reggio Emilia". Tra le varie critiche mosse all’amministrazione in merito alle scelte di riqualificazione vi è anche la convinzione che non offra “alcun racconto organico della vita antica e moderna della città e del suo territorio”. Cosa ne pensa?
Chi ha proposto e firmato la petizione dovrebbero venire ai chiostri. Molte delle persone accorse domenica erano entusiaste dell’iniziativa e desiderose di dare un loro contributo materiale.
Inoltre è importante riconoscere anche il valore documentaristico del progetto. Si tratta di un percorso scientifico. Ogni oggetto raccolto viene catalogato e ricondotto alle categorie di pertinenza, inoltre viene richiesto al cittadino di spiegare perché ha deciso di consegnare quell’oggetto nello specifico.
Queste accuse sono infondate, in questo senso si sta giocando in modo non molto corretto. Si dice che questa iniziativa cancelli i musei per sviluppare un’idea eclatante, che non rispetti la tradizione e che sia uno spreco di soldi in tempi di crisi. Ma in realtà il museo sarà allestito in spazi che ad oggi non sono fruibili. Inoltre l’organizzazione della “Period room” narra della città del ‘900, quindi racconta qualcosa che appartiene a tutti e fa parte della nostra memoria condivisa. Pensiamo all’azienda Max Mara, al suo valore simbolico. Nata nei primi anni ’50, oggi impiega un gran numero di reggiani ed è ancora una realtà importantissima per il tessuto economico locale.
E rispetto all’accusa che si tratti di scelte costose, non adeguate all’attuale situazione di crisi economica e sociale?
Ancora una volta si gioca sull’equivoco. Il progetto è stato finanziato tra il 2007 e il 2008 anche con contributi privati e nell’ambito del piano di riqualificazione del centro storico. Le risorse pubbliche utilizzate erano state congelate dal patto di stabilità, quindi erano già lì per questa iniziativa.
Le classifiche dimostrano come Reggio sia al primo posto tra i comuni italiani in termini di qualità dei servizi e questo viene portato avanti attraverso sforzi di bilancio in termini di spesa corrente. Non è possibile utilizzare lo stesso meccanismo per investimenti di altro genere.
Non so chi siano queste persone ma credo che abbiano finalità politiche e comunque la loro attitudine è di tipo populista.