RESPIRO LIEVE dipinti di andrea paganini 25 settembre -24 ottobre 2010 Il titolo della mostra esprime tutta la forza evocativa che emerge dalle opere di Andrea Paganini. Una forza che gli deriva da un uso originale della materia, del segno, del gesto. Se volessimo cercare dei maestri “virtuali” ai quali Andrea guarda, dovremmo citare grandi nomi della pittura informale: Mark Tobey, Mathieu, Twombly, Kline e arrivando in Italia dovremmo pensare ad Afro, Vedova, Santomaso, ma anche Burri; riscontriamo una matrice nell’arte concettuale e nell’arte povera, soprattutto quella di Kounellis e Penone, per arrivare a tempi più recenti con la Scuola Romana del maestro Pizzi Cannella. La nostra intenzione però non è quella di collocare l’arte entro una categoria astratta, seppure precisa, ma piuttosto di capire le opere che abbiamo di fronte, e per comprenderle bisogna sapere come procede e cosa lo spinge a dare inizio ad un’opera. In fondo Andrea creativo lo è di professione, ma la chiarezza e la “pulizia” formale del linguaggio pubblicitario non appartengono alla sfera artistica. Quello che si percepisce è invece un bisogno più intimo, personale, che ha a che fare con la parte più emozionale ma che non si lascia andare all’inconscio o all’irrazionalità, o meglio, il messaggio da comunicare è sempre qualcosa di intimo, ma viene espresso tramite l’uso sapiente degli strumenti tecnici scelti dall’artista. Ho affermato all’inizio di questa presentazione che R E S P I R O L I E V E è un titolo capace di restituire l’atmosfera evocativa di questi quadri perchè insieme alla materia (che può essere colore, colla, bitume, trucioli, copertoni di automobili) aggiunta, incollata o stratificata sul supporto — quasi sempre una tavola di compensato e raramente una tela, che non “sopravviverebbe” ad un approccio così deciso — si leggono o si intravedono segni, forme e talvolta lettere o numeri, che spesso hanno precisi riferimenti nella vita privata dell’autore. Infatti, ad un primo momento in cui alla superficie viene aggiunta la materia, segue una seconda fase in cui le azioni contrarie, quindi togliere, graffiare, bruciare o incidere, danno vita ad un’opera che racconta di un sogno, un ricordo, una sensazione o un’emozione. Perchè le opere di Andrea nascono così, da un segno sulla superficie o dal desiderio di un colore e poi pian piano, nel tempo, quel segno e quel colore acquistano la loro ragion d'essere all’interno di una composizione più complessa, il cui significato finale si forma in divenire, non esiste sempre a priori. Questi quadri hanno bisogno di tempo, di una lettura lenta e paziente che prima affondi negli strati per poi riportare in superficie la presenza di un paesaggio, un orizzonte lontano, oppure forme precise, spesso circolari. E ancora, laddove il segno si fa figura — soprattutto nel contrasto espressionista tra il bianco e il nero, oppure tra il bianco e il rosso — ecco affiorare un teschio o una forma antropomorfa o animale. Nel lavoro di Andrea non ritroviamo tematiche preferenziali, ma spesso il titolo ci parla di paesaggi in cui scorgiamo mondi lontani, lunari o desertici, comunque “estremi”, ma delineati in modo lieve nel contrasto di un taglio di luce in un contesto buio; oppure nell’incontro tra cielo e terra dove l’eterna lotta tra bianco e nero si libera in una cascata leggera di pulviscolo o di meteoriti che piovono sul suolo di un altro pianeta. Le tavole di Andrea non sono iconoclaste, non hanno bandito la figurazione, che anzi emerge prepotentemente nella serie di opere recentissime dedicate agli animali, ma la reinterpretano — o perlomeno cercano di farlo — percorrendo sentieri alternativi. Chissà, forse questo moderno “bestiario” aprirà una nuova strada verso un linguaggio popolato di quelle figure che nelle altre opere di Andrea possiamo solo scorgere, e intravedere L I E V I. Elizabeth Sciarretta |