Il Comune "congela" i funghi Prima i lavori dentro ai Musei
Il progetto di Italo Rota
Fischi e applausi, pubblico diviso nell’incontro ai Chiostri. I contestatori: «Veniamo trattati come deficienti»
di Mike Scullin
di Mike Scullin
Italo Rota alla presentazione del concept del museo (Artioli)
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Reggio Emilia, 25 giugno 2012 - I FUNGHI? Congelati. Almeno per questa legislatura il Comune non innalzarà i dodici funghi d’acciaio specchiante con disegni di animali esotici che, nel progetto fantasmagorico dell’architetto Italo Rota, dovrebbero fungere da calamita per attirare visitatori ai Musei Civici. Col denaro stanziato in parte dall’amministrazione comunale in parte da privati verrà invece sistemato l’ultimo piano di palazzo San Francesco, che ospiterà le period-rooms, le stanze tematiche in cui esporre gli «oggetti narrativi» che hanno fatto la storia reggiana del Novecento. E si interverrà finalmente, dopo sette anni di stop, sull’altra scommessa del progetto, lo scalone dell’ex istituto Secchi con le aule trasformate in pinacoteca di tutti i colori. Sì, una galleria arcobaleno perchè i proiettori dotati di filtri illumineranno le pareti neutre accendendo la pinacoteca e valorizzando le tele.
FUNGHI ABBANDONATI? No. Se i contestatori lo speravano, si sono sbagliati. Per ora sono parcheggiati nel mondo delle idee per i fondi insufficienti - a disposizione solo un milione di euro - ma dopo le prossime amministrative (2014) se ne riparlerà: in alternativa, all’esterno saranno piazzati degli specchi. E niente costosissima parete vegetale, par di capire dalle parole di Rota: solo normalissimi rampicanti. La decisione dello stop provvisorio ai funghi ci è stata riferita dall’assessore alla cultura Giovanni Catellani subito dopo l’incontro dei cittadini con l’architetto milanese, l’altra sera ai chiostri di San Pietro. Sul palco, illuminati dai riflettori, c’erano anche la direttrice dei Musei Elisabetta Farioli, il giornalista e docente universitario Pierluigi Panza, e lui, Lui. L’architetto Italo Rota, a cui qualcuno ha infine urlato: «Non è il tuo museo, Rota!»
SOTTO, la platea dei «giudici popolari», 150 appassionati divisi in due fazioni. Pro e contro Rota, guelfi e ghibellini, interisti e milanisti. I pro, giovani, entusiasti nel vedere l’immagine del museo rivoltata come un calzino, contenitore di provocazioni e suggestioni spettacolari. I contro, via via ingrossatisi attorno al nucleo dei 45 intellettuali «arrabbiati», preoccupatissimi per il temuto stravolgimento dello scrigno, dell’Istituzione. Tutti immersi nell’umidità della sabbia resa fradicia dalla grandinata del pomeriggio, ma curiosi di apprendere il credo di Rota. Fin dall’inizio una forte tensione, accompagnato da fischi o applausi: atteggiamento ben diverso da quello, reverenziale, tenuto quando venne a Reggio Santiago Calatrava, l’autore delle vele sull’A1, a parlare dell’Area Nord.
AL TERMINE della disquisizione di Rota, la mitragliata di interventi. Chi approvava e chi invece è riuscito nell’impresa di spazientire l’architetto. Dai contestatori sono fioccati infatti al suo indirizzo giudizi come «banalità sconcertanti», «poetica molto confusa». «siamo stati trattati come deficienti» e, nel merito, «per noi inserire un tappeto con gli scimpanzè nella collezione Spallanzani è una violenza anche se non si tocca nulla, son cose che non si fanno» (Franzoni, un firmatario), o ancora «Rota, ci fornisca delle ipotesi, non un’unica soluzione! L’architetto Rudi, con Mari ha vinto un concorso a cui aveva partecipato anche Italo Rota, onestamente lo si deve sapere. I lavori erano realizzati al 60-70 per cento, ora l’impiantistica è rovinata e obsoleta e rispetto alla partenza siamo in situazione peggiore» (l’architetto Bedogni).
di Mike Scullin
FUNGHI ABBANDONATI? No. Se i contestatori lo speravano, si sono sbagliati. Per ora sono parcheggiati nel mondo delle idee per i fondi insufficienti - a disposizione solo un milione di euro - ma dopo le prossime amministrative (2014) se ne riparlerà: in alternativa, all’esterno saranno piazzati degli specchi. E niente costosissima parete vegetale, par di capire dalle parole di Rota: solo normalissimi rampicanti. La decisione dello stop provvisorio ai funghi ci è stata riferita dall’assessore alla cultura Giovanni Catellani subito dopo l’incontro dei cittadini con l’architetto milanese, l’altra sera ai chiostri di San Pietro. Sul palco, illuminati dai riflettori, c’erano anche la direttrice dei Musei Elisabetta Farioli, il giornalista e docente universitario Pierluigi Panza, e lui, Lui. L’architetto Italo Rota, a cui qualcuno ha infine urlato: «Non è il tuo museo, Rota!»
SOTTO, la platea dei «giudici popolari», 150 appassionati divisi in due fazioni. Pro e contro Rota, guelfi e ghibellini, interisti e milanisti. I pro, giovani, entusiasti nel vedere l’immagine del museo rivoltata come un calzino, contenitore di provocazioni e suggestioni spettacolari. I contro, via via ingrossatisi attorno al nucleo dei 45 intellettuali «arrabbiati», preoccupatissimi per il temuto stravolgimento dello scrigno, dell’Istituzione. Tutti immersi nell’umidità della sabbia resa fradicia dalla grandinata del pomeriggio, ma curiosi di apprendere il credo di Rota. Fin dall’inizio una forte tensione, accompagnato da fischi o applausi: atteggiamento ben diverso da quello, reverenziale, tenuto quando venne a Reggio Santiago Calatrava, l’autore delle vele sull’A1, a parlare dell’Area Nord.
AL TERMINE della disquisizione di Rota, la mitragliata di interventi. Chi approvava e chi invece è riuscito nell’impresa di spazientire l’architetto. Dai contestatori sono fioccati infatti al suo indirizzo giudizi come «banalità sconcertanti», «poetica molto confusa». «siamo stati trattati come deficienti» e, nel merito, «per noi inserire un tappeto con gli scimpanzè nella collezione Spallanzani è una violenza anche se non si tocca nulla, son cose che non si fanno» (Franzoni, un firmatario), o ancora «Rota, ci fornisca delle ipotesi, non un’unica soluzione! L’architetto Rudi, con Mari ha vinto un concorso a cui aveva partecipato anche Italo Rota, onestamente lo si deve sapere. I lavori erano realizzati al 60-70 per cento, ora l’impiantistica è rovinata e obsoleta e rispetto alla partenza siamo in situazione peggiore» (l’architetto Bedogni).
di Mike Scullin