mercoledì 4 luglio 2012

Nuovo museo di Italo Rota a Reggio Emilia. Dal Resto del Carlino del 24 giugno

Ecco il nuovo museo di Italo Rota Racconterà le storie private

Sorgerà in centro

 
Lo farà grazie agli oggetti dei cittadini e dei depositi. Sarà adiacente ai musei civici e avrà funzioni distinte
Italo Rota alla presentazione del concept del museo (Artioli)
Italo Rota alla presentazione del concept del museo (Artioli)
 
Reggio Emilia, 24 giugno 2012 - Un nuovo museo che trovi spazio per materiali non esposti dei Musei e che ponga domande sul futuro di Reggio Emilia, adiacente al Museo delle collezioni storiche. Degli obiettivi di questo nuovo museo si è parlato sabato sera al chiostro grande di San Pietro con l’architetto autore del progetto Italo Rota, Giovanni Catellani assessore alla Cultura, Elisabetta Farioli direttrice dei Civici Musei, in una presentazione condotta da Pierluigi Panza, giornalista del Corriere della Sera.

Due musei distinti ma comunicanti, con due accessi diversi. Su questa distinzione tra i Musei civici con le preziose collezioni storiche da valorizzare e conservare, e il Nuovo Museo che va a occupare un’ala chiusa sono tornati più volte tutti i relatori. Un filmato iniziale ha mostrato lo stato dei quattro piani attualmente chiusi di Palazzo San Francesco, con i lavori interrotti e sui quali è ancora in corso un contenzioso tra l’Amministrazione comunale e la ditta che li aveva svolti.
IL CONFRONTO SUI MUSEI. L’assessore Catellani ha introdotto: “Ci siamo posti il tema di come comunicare meglio la grande ricchezza che i nostri Musei contengono, come rendere più belli, come associarli ad installazioni di grande richiamo, ma anche come intervenire in una parte che è ancora oggetto di ristrutturazione. Abbiamo chiamato quindi Italo Rota, architetto di chiara fama per gli allestimenti museali. Il tutto due anni fa si è fermato per il blocco dei finanziamenti e il patto di stabilità. Se per i vincoli del patto non potremo portare a termine tutto il progetto, il nostro obiettivo è intervenire intanto per una parte. Questa sera è una tappa importante, proseguiremo nel confronto. Quello che c’è in corso non è uno scontro tra innovatori e conservatori, perché tutti vogliamo bene al nostro museo e cerchiamo di renderlo più attraente. Certo occorre ripensare il rapporto tra memoria e innovazione, per un museo che ha le caratteristiche del Museo della Condivisione”. In seguito rispondendo alle domande, ha auspicato che possa essere messo a disposizione un milione di euro entro la fine della legislatura per quella parte di museo più condivisa e partecipata, ricordano i percorsi già avviati con le prove generali per un museo nel 2010 e la mostra in corso Gli oggetti ci parlano per l’allestimento delle period room.
LE CRITICITA’ DEI MUSEI DI REGGIO E LA SCELTA DI ROTA. Elisabetta Farioli ha ripercorso la riflessione dell’Amministrazione comunale di Reggio Emilia che ha portato allo specifico incarico all’architetto Rota: “Reggio Emilia è una città che ha saputo salvaguardare le sue collezioni storiche. La nostra priorità è la salvaguardia della collezioni storiche, che rappresentano la nostra identità. Nel 2006 ci si è trovati al cantiere interrotto per un contenzioso, abbiamo realizzato anche, grazie allo studio dell’Università di Bologna, le forti problematiche dei nostri musei, tra cui la totale mancanza dei visitatori tra i 20 e i 50 anni e di visitatori al di fuori di Reggio Emilia. Siamo quindi davanti alla necessità, per non ridurre le attività dei Musei, di avvicinarli a un pubblico più ampio, trasversale a tutte le culture e le generazioni e con particolare riferimento ai giovani”.
Nuovi problemi da affrontare, quindi, che hanno portato a cercare un’ottica diversa rispetto al progetto precedente Rudi-Mari “che prevedeva la messa a norma, il rifunzionalizzazione dei percorsi e l’esposizione del patrimonio di arte contemporanea”. “I musei hanno nelle città oggi un ruolo preciso nel rivitalizzare le città – ha continuato la Farioli riferendosi anche alla collocazione centrale d palazzo san Francesco, in dialogo con la piazza, con la topografia della cultura, e con via Secchi con le sue difficoltà.

Un secondo tema è stata la seguente considerazione che “I nostri musei sono espressione di visioni del mondo molto diverse tra loro: collezioni preziose a fianco di collezioni di taglio locale. Accanto alla collezione Spallanzani, il mondo delle wunderkammer, contatti precisi con l’illuminismo c’è a pochi metri il museo di storia patria di Chierici, il pensiero del positivismo, c’è Narborre Campanini, il rapporto con l’art nouveau, e poi ancora collezioni dei nostri esploratori e piccole collezioni di tante persone. Guardando i nostri musei non sul piano filologico ma dall’alto, lo vediamo come un contenitore in cui ci sono tutti i tempi, i luoghi, le culture: questa complessità può essere una occasione per la nostra contemporaneità e per i nostri musei. Un’occasione per le nostre collezioni storiche di diventare qualcosa di vivo per il nostro presente”.
Davanti a queste problematiche, l’operazione era quindi complessa e ha portato all’incarico a una professionalità come quella di Italo Rota. “La complessità non era a livello scientifico – ha specificato la Farioli - perché i nostri musei hanno personale scientifico di elevata competenza, ma era necessario un progettista con una visione artistica che ci aiutasse a rendere disponibile al grande pubblico, con il collezionismo, e con il linguaggio della contemporaneità, la nostra ricchezza”. Le installazioni nel Nuovo Museo verranno realizzate “quasi esclusivamente con materiali non esposti e custoditi nei depositi”, e darà la possibilità, al piano zero, di entrare nelle nostre collezioni storiche e immutate per viverle anche da un punto di vista contemporaneo.

Le installazioni di Rota avverrano con la partecipazione della città per quanto riguarda il museo del Novecento all’ultimo piano, comunque con accostamento dei materiali, forte domande sulla contemporaneità, la partecipazione, il confronto tra le culture, attenzione agli oggetti, perché “la memoria del passato possa diventare qualcosa di presente e di educante, attrezzare i nostri giovani a vivere la complessità in un futuro che ci aspetta”.
Pierluigi Panza ha a sua volta ricordato come il Museo di Reggio Emilia abbia valori testimoniali straordinari, pur collocandosi in un territorio italiano che ha musei ovunque: quasi tutte le comunità cittadine hanno collezioni importanti e cercano modalità per rendere attrattivi i musei, faticando a mantenerli. “Spallanzani è un unicum nella storia della cultura, disposta anche con Chierici, in teche che ne fanno una camera della meraviglia unica. Uno scrigno che nel progetto di Rota mi pare venga completamente custodito come una reliquia, ma allo stesso tempo c’è da inserire il segno del nostro passaggio che non sia semplicemente l’aggiungersi di un museino dell’arte contemporanea. Sono 237 i musei di arte contemporanea in Italia nati in modo un po’ estemporaneo. Rota cerca di risolvere il difficile equilibrio tra la tutela dello scrigno, senza in nulla compromettere, e la necessità di una nostra testimonianza con un linguaggio comprensibile alla nostra contemporaneità”.
LA POETICA E IL CONCEPT DI ROTA. “2012, lavoro e terremoto” sono le parole da cui ha iniziato Italo Rota per presentare la sua poetica e il concept: “Quando non c’è più lavoro, un’idea di futuro, non c’è più la possibilità di creare ricchezza, non ci sono valori che tengano. I musei che stiamo immaginando, nella sua parte dedicata al Novecento, sono dedicati a come ce l’abbiamo fatta fino al 2012 e come potremmo farcela. Potremmo chiederci se questo è un museo. I musei sono sempre serviti per conservare, ma abbiamo sempre conservato per progettare il futuro. Se possiamo chiamare le Wunderkammer le camere delle meraviglie degli oggetti di Spallanzani, le nuove Wunderkammer sono quelle delle idee. Stanze molto più difficili da penetrare, perché occorre esser molto curiosi per entrare e trovare quello che cerchiamo. Suscitare la curiosità è oggi dovere massimo delle collettività, soprattutto rispetto ai giovani: senza la curiosità non c’è la possibilità di scegliere il nostro futuro che è anche quello della collettività a cui apparteniamo”.

Anche Rota ha precisato in premessa: “Mi spiace molto sia stato impostato il dibattito su cose non vere, per esempio confondendo il museo nuovo con il museo vecchio. Vi prego di tenere distinte le due cose. Una con un contenuto storico definito, quasi immobile. Che passa da museo a collezione dei modi di esporre. Ogni pezzo è la storia di come abbiamo esposto particolari temi della conoscenza”.

L’altra, “Un museo a questioni, non a risposte”, in spazi oggi chiusi, un museo che racconta le storie di Reggio, racchiuse negli oggetti, talvolta i più strani, conservati nei depositi dei Musei, oppure nelle case reggiane che i cittadini hanno portato in mostra. “Non è semplice mettere insieme la storia recente, per questo dobbiamo partecipare, che è quello che abbiamo cominciato a fare con gli Oggetti ci parlano. Reggio Emilia è una città piccola, molto particolare, con qualità diffusissime, ma minute, difficili da raccontare, nano-qualità. Per questo occorre suscitare curiosità, porre domande semplici per dirci di avere in futuro lo stesso coraggio di chi ha fatto questa qualità. Dai nidi e le scuole di infanzia, alle mille piccole imprese. Le storie che raccontiamo ci dicono che dobbiamo continuare a preservare questa qualità diffusa che c’è a Reggio Emilia. Ad esempio ci interessa ancora la storia del tessile a Reggio Emilia, può generare innovazione? Può servire per uno start up di impresa? Una storia ancora calda, che può dimostrate che i nostri genitori ce l’hanno fatta”.

L’obiettivo è “di trasformare il patrimonio di Reggio Emilia in héritage, eredità, che è enzimatico solo quando riesce a trasformare i valori”. Cosa c’entra un museo? “Il caso della vita ci ha dato collezioni stravaganti e particolari,che ci pongono nella condizione di raccontare il mondo come è e come sarà. Come dice Olafur Eliasson: se tutto questo ci interessa, dopo sarà diverso”. Perché il mondo cambia.

Un museo che pone domande per il futuro. Ad esempio affiancando il tema della clonazione e della pecora Dolly con gli agnelli siamesi, i “mostri” delle collezioni. “Cosa dobbiamo fare davanti a questi oggetti? Possiamo parlare di queste cose? Possiamo interrogare così i nostri giovani sul nostro destino? Abbiamo la possibilità di farlo non con cartelli o con un video, ma con oggetti che ci interrogano in modo molto più persistente”.
Oppure ponendo il tema dell’acqua, come origine della vita: “Questa città ha un rapporto superficiale con la natura, mentre qui la natura c’è ed è meravigliosa e straordinaria. I fondali, le bolle, pozzi artesiani delle prime sale sono per dire che dobbiamo cominciare a guardare tutta la natura. Non avremo la possibilità di fare un acquario dei Caraibi a Reggio, ma di un’acqua verde e ricca di vita. Le gambe? Sono quelle dei bambini fortunati che nascono in questi ospedali”, e il punto di vista diverso.

Poi il capodoglio del museo della sala Asphalt, perché la “balena” è stata “conservata con l’asfalto e perché la sua storia è così particolare, poco scientifica e così recente, entra nelle collezioni per una serie di fatti asimmetrici, visto che è giunta a Reggio con un circo nel Dopoguerra e qui è morta”.
Già all’esterno viene posto appunto il tema della natura: “Un ingresso separato da quello centrale dei musei storici. Il concept ha due versioni, una con i funghi, una senza, ma sempre con gli specchi, con i fiori e non con un giardino verticale, ma con i rampicanti che ci sono in moltissimi palazzi. I funghi mi appartengono. E’ una mia cifra, li ho sempre fatti. A me piace farli e non li riciclo. In questo mi sento vicino a colui che ha fatto le colonne di questo chiostro e le ha fatte in tutte le città in cui ha lavorato”.

Nei depositi ci sono oggetti che parlano della storia dei cittadini con “gli imprevisti della natura dei viventi” e che si incontrano con le leggende e le cronache della città: il deragliamento del treno con il circo e la fiere fuggite nelle campagne reggiane, l’orso che avrebbe mangiato un bambino, fino agli animali domestici impagliati e donati ai Musei. “Quest’orso, lo mettiamo nelle collezioni degli animali o raccontiamo la sua storia? Se non ci si dà la pazienza di andare oltre le immagini, non andiamo molto lontano”.

Nel corridoio al piano zero, “la più antica abitante reggiana di cui ci è giunta immagine, la Venere di Chiozza, patrimonio nazionale, custodito in una banca, simbolo della presenza dell’uomo in questa area”.
Alla fine del corridoio il laboratorio con i giovani e il “giardino delle piante arrivate negli ultimi 50 anni a Reggio Emilia, per imparare i loro nomi, usi e costumi e imparare come queste nuove speci potranno convivere con le altre, insieme con Gilles Clement, e vedere come possono convivere in armonia, esattamente come i cittadini”.
Al piano superiore, “la sala dove ricreare lo start del 1859, quando Reggio di Lombardia diventa Reggio d’Emilia e cambiano tutti i riferimenti. Qui, ricreare la sala dell’esposizione fatta all’epoca, che contiene tutti i quadri e il paesaggio di quella data. A fianco, gli oggetti prodotti in quella decade nel pianeta, che ci racconta la diversità, il persistere di punti di vista diversi nello stesso tempo, dalla statua canoviana a fianco della testa africana, la giubba garibaldina a fianco della camicia di un capo indiano”.

Un'altra sala, l’arca di Noè, già sperimentata con l’installazione del 2010, con animali dei depositi: “il Rapporto tra viventi è oggi una tappa obbligatoria. Occorre insistere, nel rapporto con la natura c’è il nostro destino. L’arca di Noè è la punizione divina per costringere i viventi a un nuovo contratto, per fermarsi, quando finisce il diluvio, e scrivere una nuova storia. Senza questo contratto non ce la faremo”. All’ultimo piano, “pochissimi interventi architettonici, mostre tematiche e le period room che ci ricorderanno dove viviamo e da dove veniamo”.
Riguardo alla possibilità di destinare l’ultimo piano a un ristorante con vista sulla piazza, l’architetto Rota ha affermato: “Piuttosto che destinarlo ad uffici per alcuni funzionari essendo un luogo che appartiene alla collettività è meglio se più persone ne possono godere.” “Sono stato incaricato dal Comune per queste cose, per altro non sono stato incaricato – ha concluso – Gli aspetti negoziabili sono all’interno di questo percorso, delle cose da fare”.

La presentazione è stata seguita da domande e interventi da parte del pubblico numeroso e del Comitato Amici dei Musei. L’assessore Catellani ha concluso ricordando che il percorso continuerà con attività specifiche e di partecipazione. Ha affermato di aver incontrato più volte il Comitato e che il confronto continuerà anche con la tavola rotonda proposta dallo stesso comitato. “E’ stato un percorso lineare che continuerà, in cui va riconosciuta l’onestà intellettuale dell’architetto Rota e l’onestà nelle procedure da parte dell’Amministrazione”.