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Nelle "Stanze" di Riccardo Varini, per ritrovare la forza dell'immagine essenziale
NOVELLARA-Si intitola “Stanze" la mostra di Riccardo Varini
che l’assessorato alla Cultura di Novellara ospita al Museo Gonzaga,
per Fotografia Europea 2013. La mostra, inserita nel circuito Off,
è curata da Alessandra Bigi Iotti e Giulio Zavattadi “A Regola d’Arte”
e da Elena Ghidini,responsabile del Museo di Novellara.
Le opere saranno visitabili sino al 2 giugno.
Si tratta della prima parte di un lavoro ispirato ad
Edward Hopper, il pittore americano famoso per il suo teatro
del silenzio. Dai silenzi dei suoi classici paesaggi ora Varini si
sposta a quelli di stanze o di circostanze apparentemente statiche.
Anche qui vi sono tinte sobrie, tiepide, spesso con ocre.
Varini vive e lavora a Reggio Emilia dove ha una piccola galleria.
Nel 2009 la sua esposizione fra i fotografi del circuito ufficiale
di Fotografia Europea risulta la più votata dalla critica .
Nel 2012 è invitato al MIA fair di Milano dove una sua immagine
viene scelta da Le Monde come rappresentativa della fiera stessa.
Spiega Varini: “Stanze “o “Di-stanze” è la prima parte di un lavoro
più ampio, iniziato alcuni anni fa, quando mi innamorai del pittore
americano Edward Hopper. Pittore che ha dipinto di tutto,
viaggiando molto, ma che mi ha colpito soprattutto per le
sue stanze silenziose oltre che per la sua timbrica.
Naturalmente anche qui ho risentito di altre stanze vuote
e sobrie del maestro Ghirri, che conosceva bene il lavoro di Hopper.
Mentre nel lavoro del pittore americano si può parlare anche di
una certa freddezza o glacialità degli ambienti, nel mio caso
ho inteso mantenere una certa componente poetica,
una certa “emilianità”, un certo calore.
Sempre di “Teatro del Silenzio” e di solitudine però si parla.
più ampio, iniziato alcuni anni fa, quando mi innamorai del pittore
americano Edward Hopper. Pittore che ha dipinto di tutto,
viaggiando molto, ma che mi ha colpito soprattutto per le
sue stanze silenziose oltre che per la sua timbrica.
Naturalmente anche qui ho risentito di altre stanze vuote
e sobrie del maestro Ghirri, che conosceva bene il lavoro di Hopper.
Mentre nel lavoro del pittore americano si può parlare anche di
una certa freddezza o glacialità degli ambienti, nel mio caso
ho inteso mantenere una certa componente poetica,
una certa “emilianità”, un certo calore.
Sempre di “Teatro del Silenzio” e di solitudine però si parla.
Ecco che nella serie in cui appaiono le persone (giocatori, donne sole…),
queste sono inserite spesso in ambienti scuri, a volte illuminati appena
da un raggio di luce e sono ritratti in pose di perplessità.
Nelle stanze vuote ed ambrate di edifici anche antichi troviamo
invece solo qualche segno di presenza umana e sono soprattutto
i giochi di luce che muovono – metaforicamente - stanze che
sarebbero asettiche.
Poi vi sono stanze più chiare, al limite della riconoscibilità del confine,
dove ho ripreso il mio chiarismo usato nei paesaggi, portandolo all’estremo,
dove certa evanescenza induce a perdersi
o ad una specie di sacralità dello spazio.
La fisicità della stanza non ha un grande ruolo.
Più spesso è stare “sulla soglia”, una distanza che ti permette di contemplare
il silenzio e di cercare magari oltre le pareti.
In alcune c’è una specie di sospensione, di mistero.
Di certo siamo lontani da quelle piene con le figure.
Qui parlano solo la luce e qualche corrimano che
disegna note musicali sul muro.
“Il cuscino con gli occhiali”, ad esempio, è una pausa
dell’uomo che non si sa dov’è andato ma tornerà presto
a visitare quella stanza vuota, chiara e fresca ….
Per il resto, tutto è paesaggio, ambiente con la sua luce,
poco importa cosa c’è dentro. L’importante che sia
Silenzioso e magico, non solo ricordo.
Il cambiamento è proprio in queste zone di passaggio.
Magari, in queste pause
che non dureranno molto, ma la cui poesia è bene Fissare …"
queste sono inserite spesso in ambienti scuri, a volte illuminati appena
da un raggio di luce e sono ritratti in pose di perplessità.
Nelle stanze vuote ed ambrate di edifici anche antichi troviamo
invece solo qualche segno di presenza umana e sono soprattutto
i giochi di luce che muovono – metaforicamente - stanze che
sarebbero asettiche.
Poi vi sono stanze più chiare, al limite della riconoscibilità del confine,
dove ho ripreso il mio chiarismo usato nei paesaggi, portandolo all’estremo,
dove certa evanescenza induce a perdersi
o ad una specie di sacralità dello spazio.
La fisicità della stanza non ha un grande ruolo.
Più spesso è stare “sulla soglia”, una distanza che ti permette di contemplare
il silenzio e di cercare magari oltre le pareti.
In alcune c’è una specie di sospensione, di mistero.
Di certo siamo lontani da quelle piene con le figure.
Qui parlano solo la luce e qualche corrimano che
disegna note musicali sul muro.
“Il cuscino con gli occhiali”, ad esempio, è una pausa
dell’uomo che non si sa dov’è andato ma tornerà presto
a visitare quella stanza vuota, chiara e fresca ….
Per il resto, tutto è paesaggio, ambiente con la sua luce,
poco importa cosa c’è dentro. L’importante che sia
Silenzioso e magico, non solo ricordo.
Il cambiamento è proprio in queste zone di passaggio.
Magari, in queste pause
che non dureranno molto, ma la cui poesia è bene Fissare …"